27 maggio 2017

#2 Cosa succede nella politica italiana - Ma davvero si vota a ottobre

Ma davvero si vota a ottobre? E’ possibile, come dicevamo anche l’altra volta. Tuttavia bisogna andarci piano. Il metronomo di tutto questo lambiccarsi sul calendario per capire quando ci saranno le elezioni politiche è la legge elettorale, quindi è quello il dibattito da tenere d’occhio per sapere quando ci saranno le elezioni.

Questa settimana la commissione affari costituzionali della Camera ha adottato il testo base, denominato dai giornalisti ‘Rosatellum’, dal nome di Ettore Rosato che lo ha promosso. E’ un mix paritario fra proporzionale e maggioritario. Ma potrebbe anche non essere il testo definitivo. Silvio Berlusconi è ritornato centrale nel dibattito con una proposta che ha un po’ spiazzato tutti: ha proposto al Pd di votare il modello tedesco (proporzionale con sbarramento al 5%) approvarlo in fretta e andare a votare a ottobre.

La palla è in mano al Pd, perché è il partito con più parlamentari e quello senza il quale una legge non si può approvare. Martedì Matteo Renzi ha annunciato che ci sarà una direzione del Pd nella quale il partito deciderà la linea da tenere. Lunedì si consulterà con tutti gli altri partiti per capire cosa sarebbero disposti a votare.

Per schemi.

Sinistra: L’universo alla sinistra del Pd è tendenzialmente favorevole al proporzionale: ognuno si prende i suoi voti, poi si va in parlamento a contarsi. Sperando di essere indispensabili per il Pd e porre il veto sul nome di Matteo Renzi. C’è anche chi (come Giuliano Pisapia) vorrebbe invece un maggioritario per tornare così allo schema che ha caratterizzato buona parte degli ultimi vent’anni. Centrodestra e centrosinistra fanno delle alleanze prima del voto, si scontrano alle elezioni, chi prende un voto in più vince.

Area Popolare: il partito di Alfano è fra l’incudine e il martello, ma è anche determinante per la tenuta del governo. Un sistema proporzionale (ammesso che superi lo sbarramento) lo farebbe essere probabilmente decisivo per la nascita di qualsiasi governo. Un maggioritario, anche parziale, lo costringerebbe a fare una scelta definitiva fra Renzi e Salvini. In più chiedere ad Ap di votare una legge che tenga fuori dal parlamento chi è sotto il 5% sarebbe come chiedere al tacchino di apparecchiare per il pranzo di Natale.

Lega: Tendenzialmente favorevole al maggioritario nell’ottica di un’alleanza con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ma animata dalla smania di andare a votare il prima possibile. A parole i leghisti sono pronti a votare qualsiasi legge pur di farlo presto.

Forza Italia: Nel centrodestra classico ci sono sostanzialmente due anime. Una maggioritarista (Toti, Romano) che vedrebbe bene un’alleanza strutturale con la Lega come ai vecchi tempi. Una proporzionalista guidata da Berlusconi stesso che vorrebbe discutere la nascita di un governo dopo le elezioni a seconda del peso parlamentare, sperando di essere determinante. E che quindi propone il modello tedesco. Anche perché fra Renzi e Salvini il cuore di Berlusconi è, nonostante tutto, decisamente più affezionato al primo.

Movimento 5 Stelle: vorrebbe un sistema proporzionale con premio di maggioranza, simile a quello uscito dalla consulta. Non vuole i collegi uninominali perché si troverebbe costretto a mettere in campo in ogni territorio un candidato con un consenso personale e nel M5s i candidati con un consenso personale si contano sulle dita di una mano, forse due. In ogni caso Grillo ha messo ai voti fra i militanti

E il Pd? Come al solito ci sono mille anime che vanno dai sostenitori di un maggioritario (che permetta la rinascita di un centrosinistra alla Prodi, per intendersi), e i sostenitori del proporzionale. Senza contare che c’è anche un partito del governo, che trova una sonda autorevole nel presidente della Repubblica, che a votare vuole andarci a scadenza naturale, nel 2018, permettendo al governo Gentiloni di governare fino ad allora. Martedì sapremo chi avrà vinto nel Pd e che piega prenderà il percorso della legge elettorale. Ma, come dimostra la polemica scoppiata sui voucher (che un emendamento alla manovra vorrebbe ripristinarli in un'altra forma dopo l'abrogazione fatta per evitare il referendum che sarebbe dovuto essere domani) da qui alla fine di questa fase per il governo sarà un campo minato.

(Ma perché ogni progetto di legge elettorale viene chiamato con una parola latina che finisce in -um? Tutto nacque nel 1993 quando Giovanni Sartori, con feroce ironia, battezzò ‘Mattarellum’ la legge elettorale mista promossa dall’attuale presidente della Repubblica. L’uso del neutro della seconda declinazione latina è un uso pomposo per definire un corpus legislativo. La definizione ha avuto talmente tanto successo che da allora chiunque proponga il testo di una legge elettorale vede latinizzato il suo nome a volte anche con effetti un po’ ridicoli: Porcellum, Italicum, Rosatellum, Toninellum e via di questo passo).

Cos'è successo a Parma con la Lega Nord

Domenica sono stato al congresso della Lega Nord a Parma dove, oltre a confermare Matteo Salvini come segretario, si è sancito il cambio di pelle del partito che nello scenario della politica italiana attuale esiste da più tempo: non più un sindacato del nord, ma un movimento sovranista come il Front National di Marine Le Pen. Una volta, sintetizzando al massimo, lo slogan era "Prima il nord", adesso è "Prima gli italiani. Questa vicenda ha avuto dei momenti anche abbastanza simbolici. Quando un dirigente di Varese è salito sul palco e ha pronunciato le parole "indipendenza e secessione" (un tempo parole d'ordine leghiste) dalla platea si sono alzati i "buh". E una contestazione è toccata anche al padre fondatore Umberto Bossi, che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile di fronte ai militanti leghisti. Lui ha detto che per il momento non se ne va dalla Lega. Salvini ha risposto che ai suoi insulti ci è abituato e ha detto che non gli porterà mai rancore.

Il casino in Rai

Se la legge elettorale scandisce tempi e modi del dibattito politico, c'è una costante nella politica italiana: nessuna cosa anticipa i sussulti che ci saranno al governo e in parlamento come quello che succede fra chi comanda in Rai. E' un sismografo magico in grado di prevedere i terremoti. (A scanso di equivoci: è una metafora, eh. I terremoti quelli veri NON si possono prevedere).

Il consiglio d'amministrazione, nei giorni scorsi, ha respinto il piano news del direttore Antonio Campo Dall'Orto, ex Mtv e uomo che capisce di televisione, ma poco aduso a confrontarsi con le pratiche di sottogoverno. Ieri sera si è dimesso. Adesso non si capisce bene cosa succederà: se dovesse dimettersi anche il cda si creerebbe un vuoto di potere che andrebbe a coincidere, probabilmente, con la fase che ci porterà alle elezioni.

Quella della Rai è una vicenda molto molto complicata. Ne ha fatto una bella ricostruzione, prima delle dimissioni di Campo dall'Orto, un articolo del Post, che è un po' lungo, ma ci sono moltissimi dettagli interessanti. C'è da dire che (il Post non firma gli articoli) è molto molto probabile che sia stato scritto direttamente dal suo direttore Luca Sofri che (come si segnala in maniera onesta nel pezzo) è il marito del direttore di Rai Tre Daria Bignardi. Quindi è un pezzo che si fa forte di una grande familiarità con l'argomento, ma che, inevitabilmente, sconta un punto di vista. E lo stile di scrittura sembra proprio quello, elegante e sempre molto efficace, di Luca Sofri stesso.

Comunali: partiamo dal mare

Le due città più grandi dove si vota l'11 giugno sono Genova e Palermo. Ci sono due situazioni abbastanza diverse tra loro, ma anche abbastanza emblematiche. Come spiegavo l'altra volta, le comunali, delle quali per ora si parla pochissimo, sono da seguire con attenzione per gli effetti che potrebbero avere.

Genova è la città di Beppe Grillo, ma è quella dove il Movimento 5 Stelle è diviso in tre, per il casino che è successo quando hanno scelto il candidato sindaco. Le primarie le aveva vinte Marika Cassimatis che però è stata spodestata dallo staff del blog che ha imposto il candidato Luca Pirondini. La Cassimatis si è candidata lo stesso, portandosi dietro una parte degli attivisti. Come se non bastasse è in campo anche Paolo Putti, grillino della prima ora ed espulso in polemica con la gestione dello staff. Con lui ci sono un po' degli attivisti dei primi tempi insieme a qualche pezzo di sinistra. In questo quadro al ballottaggio potrebbero andarci Gianni Crivello (Pd) e Marco Bucci, in uno scontro centrosinistra-centrodestra abbastanza tradizionale. Bucci è un manager pubblico conosciuto in città e sostenuto da Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d'Italia e Area popolare. Vorrebbe riuscire a fare quello che qualche anno fa è riuscito a Giovanni Toti che con questo schema del centrodestra unito è diventato presidente della Regione.

A Palermo invece la situazione è molto più complicata. Basti pensare che il candidato che cinque anni fa sostenne il Pd, Fabrizio Ferrandelli, oggi è candidato per Forza Italia, mentre il sindaco uscente, un personaggio popolarissimo in città come Leoluca Orlando, nel 2012 vinse contro il Pd e oggi è sostenuto da un'alleanza fra Pd e Area popolare, che a Genova sta col centrodestra. A Palermo Salvini non è alleato con Forza Italia, ma sostiene il candidato di Fdi Ismaele La Vardera. Anche qui nel M5s ci sono state polemiche interne: alla fine l'ha spuntata Ugo Forello che è il candidato sostenuto da tutto il movimento con la benedizione di Grillo.

Cambiando discorso, devo trovare una foto o un'immagine simbolica da associare a questo riassuntone settimanale. Si accettano suggerimenti.

Intanto un po' di cose da leggere

20 maggio 2017

Cosa sta succedendo nella politica italiana

Ho alcuni amici che ogni tanto mi chiedono un po’ smarriti cosa succede nella politica italiana. Lo fanno perché, pur essendo interessati alla questione e convinti che occuparsi di politica sia un dovere di ogni cittadino, fanno un po’ fatica a seguire tutto quello che succede sui giornali, sul web e sulla tv. Il racconto della politica è infatti vorticoso. Si urla molto, spesso rincorrendo polemiche delle quali, dopo qualche giorno non rimane niente. E’ facile essere confusi.
Ogni settimana, quindi, (tendenzialmente il sabato mattina, ma non è una regola d’oro) pubblicherò un post per fare un riassunto, il punto della situazione di quello che è successo in settimana, per seguire i temi di lungo periodo e cercare di segnalare quali sono le questioni da tenere d’occhio.
Lo faccio per i miei amici, ma lo faccio anche per me stesso, visto che occuparmi della politica italiana fa parte del mio lavoro. Mettere in fila e tenere traccia delle questioni importanti mi aiuterà a seguire meglio quello che succederà in questi mesi che ci porteranno alle elezioni politiche.
Mi sembra quasi superfluo ricordarlo, ma lo ricordo lo stesso: non voglio convincere nessuno a votare per nessuno. Non è il mio lavoro e non mi interessa farlo. Cercherò solo di mettere chi mi legge nelle condizioni di farsi un’idea più completa possibile e di andare a votare (o non andarci) con consapevolezza.
Cominciamo dall’inizio.

22 aprile 2017

Senza Michele Scarponi io sono un po' più solo

Io e Michele Scarponi siamo nati lo stesso giorno: il 25 settembre 1979. Avevamo più o meno lo stesso numero di capelli. Lui più rughe, io molti più chili. Ma avevamo visto lo stesso identico numero di giorni e di notti, vissuto lo stesso numero di albe e di tramonti.
Almeno fino a stamattina alle 8. Io dormivo ancora, lui era uscito per un allenamento in bici intorno a casa quando un camion lo ha preso in pieno.
Michele in questi giorni era in grandissima condizione.
Aveva fatto il tour of the Alpes, aveva vinto una tappa ed era stato sempre lì, con i migliori.
Quando era un po' più giovane era considerato uno dei più forti. Aveva vinto anche un Giro d'Italia, sebbene sulla carta dopo la squalifica di Contador. Ma era comunque arrivato secondo e arrivare secondo dietro a Contador in un giro d'Italia non è cosa da tutti.
Poi aveva fatto una scelta di vita e di carriera: anziché correre per sé, aveva deciso di mettere a servizio le sue doti di uno più forte di lui. Ed è stato anche grazie a lui, alla sua tigna, al suo coraggio, che Vincenzo Nibali ha vinto due giri e un tour de France.
Quest'anno Nibali ha cambiato squadra e Michele aveva deciso di continuare a stare al servizio di uno molto più giovane e più forte di lui. Grazie a lui Fabio Aru avrebbe potuto vincere un grande giro. L'esperienza e la classe di Michele lo avrebbe aiutato. E anche la sua allegria: quando passi sei ore in bicicletta, quando fai un lavoro così faticoso, avere qualcuno che ti fa ridere dicendo qualche bischerata aiuta.
Nella vita però non sai mai quello che ti capita. Qualche giorno fa Fabio Aru si è fatto male in allenamento. Niente giro, il capitano dell'Astana sarebbe stato Michele Scarponi. A 37 anni, forse per l'ultima volta, avrebbe potuto giocarsi le sue carte in prima persona. Magari non lo avrebbe vinto, il giro, ma sarebbe stato lì. Chi voleva la maglia rosa avrebbe dovuto vedersela con lui e provare a staccarlo in salita, se ne era capace.
Io al giro lo aspettavo perché gli volevo bene, se volete anche per questa assurda e solidale pretesa identitaria che hanno - penso - tutti i nati il 25 settembre 1979. E da stamattina alle 8 anche io sono un po' più solo, a questo mondaccio.

14 marzo 2017

Il mio '77

Io, nel 1977, non ero ancora nato.
Quindi il titolo di questo post, in realtà, è uno schifoso clickbaiting. L’ho scelto proprio perché molti di voi lo hanno aperto pensando “ma tu non nel Settantasette non eri ancora nato, coglione”. In effetti sono nato solo due anni dopo.
Ma già che siete qua.
Stavo riflettendo su questo spirito commemorativo del ’77 che si è diffuso da un po’ di giorni a questa parte.
Ho letto moltissime cose, anche su facebook, di gente che nel ’77 c’era davvero, da qualunque parte della barricata fosse. E ho letto anche alcune riflessioni molto intelligenti e molto attuali. Ho apprezzato anche i sentimentalismi. Alcuni sono stati parecchio banali, ma mi sono quasi sempre sembrati sinceri.
Grazie a tutti questi ricordi che ho letto, stavo pensando a dove sarei potuto essere nel 1977 se avessi avuto vent’anni. Forse a studiare lettere all’Università di Bologna. O forse a fare il contadino nella campagna toscana dopo aver fatto a stento la terza media. Il confine nel ’77 poteva essere molto labile. E può esserlo anche oggi, molto più di quello che si può pensare.
E vanno bene Demetrio Stratos, le barricate in via Zamboni, gli scontri a Roma, le radio libere, potere operaio, Tondelli, la creatività al potere, il sindacalismo rivoluzionario. Tutto giusto e tutto bello. Ma questo riguardava una maggioranza elitaria. La maggioranza numerica del paese era un’altra cosa. Era, non vi scandalizzate per il termine, contadina. Anche se non lavorava nelle campagne, ma era stata assunta in fabbrica o magari lavorava in banca o alle poste, rimaneva contadina nella mentalità.
Del ‘77 fa parte anche quella mentalità post-agricola, gente di campagna che stava venendo inghiottita dalla città, senza volerlo e senza poter far nulla per impedirlo. Il modo migliore per ricordarsela è guardarsi (o riguardarsi con il senno del poi) un capolavoro della cinematografia mondiale come ‘Berlinguer ti voglio bene’, opera prima (con la regia del compianto Giuseppe Bertolucci) di quel genio assoluto che è Roberto Benigni.
(Perché Roberto Benigni è e rimane un genio assoluto, anche se ultimamente a qualcuno di voi è cominciato a stare sul cazzo perché lui è stato a cena alla Casa bianca con Obama e voi no).
Io ‘Berlinguer ti voglio bene’ credo di essere in grado di recitarlo a memoria dall’inizio alla fine. Quindi il mio falso ricordo post-indotto del 1977 è e non può non essere che questo.
E in ogni caso, mi sembra comunque che sia il caso di celebrare adeguatamente anche il quarantennale di ‘Berlinguer ti voglio bene’.
Buona visione


27 gennaio 2017

Per favore, Grazie. (In tutte le lingue)

Da un po' di tempo ho deciso di imparare a dire “per favore” e “grazie” nel maggior numero di lingue possibili.

Anche se sembra che non serva a niente, vi assicuro che serve molto più di quello che possiate immaginare. Se parli con qualcuno che linguisticamente non ha niente a che fare con te, queste due parole ti serviranno a creare un clima positivo. E anche se parli con qualcuno che si rivolge a te in una lingua che non è la sua, per esempio in italiano, se gli dici “per favore” e “grazie” nella sua lingua, gli avrai fatto del bene.

Quindi metto qui una lista con le lingue principali. Magari c’è qualche errore di trascrizione, ma quello che conta è saperlo dire. Suggerimenti e correzioni sono comunque molto ben accetti.

Spero che la imparino a memoria tutti quelli che hanno una qualche responsabilità nell’Unione Europea.

Italiano: Per favore, Grazie.

Inglese: Please, Thank you.

Francese: S’il vous plait, Merci.

Spagnolo: Por favor, Gracias. 

Portoghese: Por favor, Obrigado.

Tedesco: Bitte, Danke.

Olandese: alsjeblieft, Bedankt.

Svedese: Vanligen, Tack.

Norvegese: Vaer sa snill, Takk.

Finlandese: Haluta, Kiios.

Ungherese: Kerem, Koszonom.

Rumeno: Va rog, Multumesc.

Albanese: Ju Lutem, Falenderim

Bulgaro: Moria, Blagodaria

Russo: Pozaluista, Spasibo.

Arabo: Min Fadlik, Shakar.

Cinese: Qing, Xiéxié.

Giapponese: Dozo, Kansha

Coreano: Hasibsio, gamsa.

Bengalese: Daya kare, Dan iabada.

Indi: Krpaia, Dhanyavaad.

Ebraico: Sim lev, Bevakahsah.

Esperanto: Bomvolu, Danke.

13 gennaio 2017

Nomi e cognomi

Noi giornalisti siamo una categoria strana, lo siamo sempre stati.

Siamo tutti — fieramente e giustamente — in prima linea per difendere la correttezza dell’informazione, contro le “bufale diffuse da internet” e contro gli imbonitori televisivi che si improvvisano cronisti di nera. E per questo ci diciamo bravi uno con l’altro.
“Noi abbiamo una deontologia, noi abbiamo un’etica, c’è un ordine che ci sanziona”. Diciamo. Facciamo anche i corsi di formazione, pensa un po’.
Poi quando due minorenni sono coinvolti in un caso di cronaca, il duplice omicidio di Ferrara, molti mezzi d’informazione (non tutti, bisogna dire) non resistono a fare i loro nomi e cognomi. In spregio a quell’etica che ci piace tanto, al buon senso e alle stesse regole (in questo caso la Carta di Treviso) che ci siamo dati e con le quali ci sciacquiamo tanto la bocca.
Ma tanto si può dare sempre la colpa a internet, no?